lunedì 22 ottobre 2012

Il testo poetico


Per noi moderni la poesia è fondamentalmente qualcosa da leggere, uno strano testo in cui si va a capo prima d’arrivare in margine alla pagina. Nel nostro rapporto con la poesia quindi ciò che più conta sono gli occhi e la lettura è in genere solitaria.
Per gli antichi invece poesia era prima di tutto esibizione, performance, canto del poeta accompagnato dalla musica, di fronte ad un pubblico in ascolto. Questa modalità di fruizione della poesia richiedeva la presenza nello stesso luogo del poeta-cantore e degli ascoltatori.
Ciò che più contava era la voce e l’ascolto e l’esperienza era collettiva

Ricordare le origini musicali della poesia ci consente di cogliere del testo poetico un altro aspetto essenziale, che lo distingue dal testo in prosa:

                            la poesia è musica fatta con parole ( E. Montale)

il testo poetico possiede una sua specifica musicalità, perché “qualcosa” di esso  SUONA nella mente e nella gola, cosa che normalmente non avviene con il testo in prosa.

Le nostre primitive esperienze della  musicalità di un testo sono le ninne-nanne, le filastrocche e le conte



Ninna nanna ninna oh
Questo bimbo a chi lo do
Lo darò alla Befana
Che lo tenga una settimana
Lo darò all’uomo Nero
Che lo tenga un mese intero
Lo darò all’uomo Bianco
Che lo tenga un anno santo


C’era una volta un Re
Seduto sul sofà
Che disse alla sua serva:
“Raccontami una storia!”
La storia incominciò:
c’era una volta un re
seduto sul sofa
che disse alla sua serva:
“Raccontami una storia!”
La storia incominciò
……………………….



Ambarabà ciccì coccò                                     
Tre civette sul comò
Che facevano l’amore
Con la figlia del dottore
Il dottore si ammalò
Ambarabà ciccì coccò


La Distruzione di Troia 

Dividimus muros et moenia pandimus urbis
Accingunt omnes operi pedibusque rotarum       
subiciunt lapsus et stuppea vincula collo                  
intendunt. Scandit fatalis machina muros               
feta armis. Pueri circum innuptaeque puellae         
sacra canunt funemque manu contingere gaudent.  
Illa subit mediaeque minans inlabitur urbi.           
O patria, o divum domus Ilium et incluta bello     
moenia Dardanidum! Quater ipso in limine portae 
Substit atque utero sonitum quater arma dedere.       
Instamus tamen immemores caecique furore
et monstrum infelix sacrata sistimus arce

Virgilio, Eneide, canto II, vv. 234 - 245

Apriamo i muri e spalanchiamo la cinta muraria
Tutti aiutano a collocare sotto il cavallo delle ruote scorrevoli,a legare al suo collo lunghe funi. La macchina fatale ha già passato le mura colma di armi. Intorno fanciulli e fanciulle cantano inni,felici di toccare le funi con le mani.
La macchina avanza , scivola minacciosa in mezzo alla città. 
O patria, o Ilio, casa degli dei e voi mura dardanie
che tanta guerra ha reso famose! Quattro volte si fermò  al limitare della porta e altrettante le armi nel suo ventre tuonarono sinistre!
Noi non pensiamo a nulla e andiamo avanti, ciechi nella nostra follia, finché non sistemiamo il mostro maledetto dentro la santa rocca                       


Tutto il tartareo trono è tuoni & trombe,
toccheggiano & tocsinano le tombe:
tintinnano, tra i tonfi, le teorie,
tremano le tremende tricromie:
tiroidite ti tiene con trombosi,
tricosi & tifo con tubercolosi:
ti trottano le tenie,& i tic, & i trac,
traumi & tumori, è il tempo del tuo tac:

(Edoardo Sanguineti  Alfabeto apocalittico)

Edoardo Sanguineti in occasione di una esposizione nel 1982 di un grande quadro del pittore Enrico Baj, intitolato Apocalisse scrisse 21 poesie, una per ogni lettera dell’alfabeto, in cui ogni parola inizia con la lettera in questione; le poesie, stampate su volantini varimente colorati furono distribuite ai visitatori e lette pubblicamente dall’autore. Questa riportatata è quella relativa alla lettera T
L’Apocalisse è l’ultimo libro del Nuovo Testamento in cui San Giovanni predice gli eventi della fine del mondo. In senso lato la parola “apocalisse” quindi significa sconvolgimento, catastrofe finale



Ciò che distingue il testo poetico dal testo in prosa è che in esso le caratteristiche foniche, normalmente ininfluenti, contribuiscono alla formazione del significato.

Per rendersi conto di persona della realtà del fenomeno, basta leggere una delle poesie di Fosco Maraini, teorico della poesia metasemantica (cioè che trascende il significato)
Egli sostiene che per indicare cose nuove la lingua si è sempre servita di suoni che già venivano impiegati per significati simili: es. cannocchiale ( = canna + occhiale)
Nella poesia metasemantica avviene proprio il contrario.
Il poeta propone dei SUONI e attende che il lettore dia ad essi dei significati emotivi che dipendono dalla sua esperienza

Ci son dei giorni smergi e lombidiosi
Col cielo dagro e un fònzero gronguto
Ci son meriggi gnàlidi e budriosi
Che plògidan sul mondo infragelluto,

ma oggi è un giorno a zìmpagi e zirlecchi
un giorno tutto gnacchi e timparlini,
le nuvole buzzìllano, i bernecchi
luderchiano coi fèrnagi tra i pini;

è un giorno per le vànvere, un festicchio
un giorno carmidioso e prodigiero,
è il giorno a cantileni, ad urlapicchio
in cui m’hai detto”t’amo per davvero”

Fosco Maraini  Gnosi delle fànfole  1993


La singolare musicalità di un testo poetico è generalmente prodotta da un insieme di elementi in esso presenti, che vengono chiamati  aspetti fonico-timbrici

Il TIMBRO delle parole
Il RITMO dei suoi versi
Gli EFFETTI FONICI SPECIALI  o FIGURE RETORICHE DI SUONO


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